di Mario Sesti
Direttore di Extra
CINEMA. Festa Internazionale di Roma
Sembrava felice quella sera quando salì sul palco della Sala Petrassi dell’Auditorium. Gli occhi da felino curioso, il sorriso dal tratto etrusco. Era l’11 marzo e guardava gli altri e se stesso immersi in una situazione un po’ irreale in cui riceveva il primo e unico riconoscimento ufficiale mai assegnatogli da un’istituzione (il premio speciale della Festa del Cinema: Apollo 11 e la Cineteca di Bologna hanno condiviso l’iniziativa). Il palco era troppo grande, noi troppo incerti e lui troppo magro. Nonostante ciò, Grifi non sembrava in una fase terminale. “E’ così – disse come parlando di una stranezza stagionale o del carattere di un animale imprevedibile – a volte la malattia sembra concedermi poche ore e sono giorni terribili, poi, però, il mio corpo misteriosamente reagisce e allora mi sembra che tutto sia più o meno come prima”. C’era una aria un po’incongrua – una celebrazione ufficiale senza solennità – ma anche una certa dolcezza domestica e famigliare: c’era il figlio di Alberto e molti suoi amici ed eravamo stati a lungo a parlare nel backstage aspettando che finisse Anna – forse l’unico grande romanzo d’avanguardia degli anni ’70 che la letteratura italiana di quegli anni, pur teorizzando all’infinito sull’avanguardia, non ha saputo scrivere. Un’era geologica prima dei reality show, Grifi, scopriva l’infinità del tempo del quotidiano, il cinema come pantografo delle fluttuazioni temporali, dell’effervescenza dell’umore e dell’indignazione, dell’instabilità di ogni attribuzione di senso a qualcosa: un cinema fatto di inquadrature in perenne colluttazione con le intensità e le energie della vita. Era la prima volta che il più celebre titolo del cinema sperimentale italiano e delle salette dei cineclub degli anni ‘70 veniva proiettato in una sala di 700 posti? Alberto ci teneva a finire qualcosa per la prossima edizione della Festa. Io, Goffredo Bettini e Tatti Sanguineti che eravamo intorno a lui, ci tenevamo ancor di più e cercammo, con tutta la premura che si può avere con una persona cui i medici davano non più di 60 giorni di vita da più di due anni, di progettare un evento che lo avesse come protagonista. Abbiamo parlato dei lavori che stava per finire – un documentario con la musica di Fresu: magari riprodotta dal vivo sulle sue immagini – e della possibilità che i suoi film finissero finalmente in DVD. Sarebbe bello che Grifi ritornasse in quella sala, ad ottobre, con il corpo fluttuante, sgranato e assorto delle sue immagini.