Evento eccezionale alla Festa di Roma. Omaggio a Luchino Visconti con la proiezione del capolavoro Ossessione, nella versione restaurata dalla Cineteca Nazionale. Ospite d’onore è stato Pietro Ingrao al quale è stato consegnato il diploma del Centro Sperimentale di Cinematografia che non potè ritirare durante la guerra perché dovette raggiungere il confino. Hanno presieduto l’incontro il presidente della Festa Goffredo Bettini, il decano della critica cinematografica italiana Gian Luigi Rondi, l’Assessore alla Cultura Gianni Borgna, il direttore della Cineteca Nazionale Sergio Toffetti, il direttore del CRS Mario Tronti e il presidente del Centro Sperimentale Francesco Alberoni, che ha consegnato il diploma.
Ricordo di Luchino Visconti espresso da Gian Luigi Rondi, che ha ripercorso il suo rapporto con il regista. “Negli ultimi mesi di vita di Luchino presentai in tv Ossessione, lo andai a trovare e parlammo del film. Ascoltai tanti suoi ricordi, quanto c’è di Renoir in questa sua opera, nonostante il soggetto fosse tratto da James Cain. ‘L’ho girato nella pianura padana e ho fatto in modo che fosse il più europeo possibile’, mi disse. Ricordo anche il nostro incontro alla Mostra di Venezia per la presentazione di La terra trema. Combattemmo per i contrasti violentissimi che si ebbero in sala a causa del realismo del film, recitato da attori non professionisti in siciliano strettissimo. Un’altra grande battaglia fu quella della trilogia tedesca. Di La caduta degli dei Luchino mi disse ‘è un Macbeth in abiti moderni’. Morte a Venezia è invece uno dei pochi film più belli del romanzo di partenza, l’opera di Thomas Mann. Mentre Ludwig fu una battaglia con i produttori tedeschi, che furono estremamente miopi. Visconti era già malato e andai io a presentarlo a Bonn, mi pregò di dire che non sentiva fino in fondo sua l’opera. Quando lo rividi nella versione successiva a Venezia lo trovai uno dei film più belli di Luchino. Toccante fu anche la visione privata che mi organizzò per L’innocente tratto da D’Annunzio: non riuscì a finire il lavoro e nonostante non ami il D’Annunzio narratore trovai nel film molto Cechov. Molti furono anche i progetti incompiuti: la ‘Recherche’ di Proust e ‘La montagna incantata’ di Mann. È davvero un peccato non aver avuto la gioia di vederli realizzati”.
Una vera e propria lezione di cinema quanto invece detto da Pietro Ingrao. “Vi ringrazio per le parole che sono state dette nei miei riguardi. Il cinema è un grande evento del nostro tempo, è l’immagine in movimento, quella dimensione espressiva che per secoli poneva sempre la figura in modo statico. Con opere stupende, meravigliose, ma l’allusione, il poetico, il significante stava e si esprimeva attraverso immagini fisse, conchiuse. Con il cinema la figura, il paesaggio, l’oggetto o il soggetto si mettono in moto, si prolungano. Con il gruppo di amici come Puccini, De Santis e Alicata siamo stati grandi appassionati del cinema muto, era un nuovo modo di leggere e rappresentare la vita. Amavamo il cinema sovietico di Ejzenstejn e quello americano di Chaplin. Se mi chiedete il pezzo di cinema che amo di più non ho esitazione: Luci della città”.