Fascisti su Marte. Guzzanti: “più stranezza che film”

Fascisti su Marte. Guzzanti: “più stranezza che film”

In un incontro stampa informale, svoltosi al termine della proiezione stampa di Fascisti su Marte di lunedì 16, il regista del film Corrado Guzzanti, accompagnato dal gruppo di “attori-amici” Marco Marzorca, Lillo Petrolo, Irene Ferri e Caterina Guzzanti e dal produttore della Fandango Domenico Procacci ha raccontato la nascita del film, che partecipa alla Festa del Cinema nella sezione Extra. “Non avevamo la pretesa di fare un vero film, era un’idea nata solo per la televisione. Grazie all’intervento di Procacci è diventato un film per il cinema. Più una stranezza che un film. Mi interessava raccontare il linguaggio della propaganda fascista e il motivo per cui ancora oggi qualcuno si esprima in una forma così mistificatoria. Ho approfondito l’argomento, studiando molto materiale di repertorio, per poter parlare alla maniera dei cinegiornali fascisti, per impadronirmi di quel gergo per poi creare neologismi che giocano sulle parole usate negli anni ‘30”.
“Ho sempre considerato Fascisti su Marte il mio bambino, un film molto privato fatto tutto da amici, alcuni dei quali neanche attori. Tutto parte dal 2002 quando all’interno del programma di Rai 3 “Il caso Scafroglia” iniziammo a interpretare lo sketch di Fascisti su Marte, un gruppo di fascisti che conquista il pianeta rosso nel 1939. Alla fine del programma le avventure dei Fascisti rimanevano in sospeso e tanti fan ci scrissero per pregarci di continuare la saga. Così alla fine del 2002 affittammo una cava alla Magliana e proseguimmo le riprese. Parte del girato fu montato e presentato nel 2003 a Venezia fuori concorso nella sezione Nuovi Territori”.
“Il film è costato circa un milione e mezzo di euro spesi soprattutto nella fase di post produzione per gli effetti speciali e per la musica che abbiamo cercato di rendere sempre più simile a quella dei cinegiornali. All’inizio abbiamo girato come se fosse un film muto ma poi, capendo che una voce over di stampo fascista per 90 minuti poteva risultare troppo pesante, abbiamo intervallato le immagini con inserti musicali e dialoghi. Gradualmente dal cinegiornale muto con didascalie il film diventa un film a colori parlato”.

 

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