Nella sua carriera, iniziata nel 1954, ha fotografato circa 80 film, lavorando con i maggiori registi italiani ed internazionali e stringendo un forte sodalizio professionale soprattutto con Federico Fellini e Luchino Visconti per capolavori come Amarcord, Roma e La città delle donne, Rocco e i suoi fratelli e Il Gattopardo. Ha collaborato inoltre a Cinque giorni un’estate con Sean Connery, uno dei 14 film proiettati nell’ambito di Cinema – Festa Internazionale di Roma, all’interno della sezione Il lavoro dell’attore, quest’anno dedicata al grande scozzese.
A Rotunno chiediamo di parlare di Cinecittà, gli stabilimenti tra i più famosi del mondo e oggi uno dei luoghi della Festa del Cinema di Roma.
“Gli studios – ricorda – non erano solo un posto di lavoro, erano la nostra casa. Fellini aveva un suo appartamentino privato all’interno di Cinecittà, uno studio nel quale dormiva e dove ci incontravamo tutte le mattine per fare colazione prima di recarci nel teatro di posa. Una tazza di caffé e scaglie di parmigiano. Si, perchè da buon emiliano Federico non se lo faceva mancare mai, il parmigiano. Poi si iniziava il lavoro. Cinecittà era appunto il quartier generale, lì lavoravamo dalla mattina alla sera, lì dormivamo e abitavamo per intere settimane. Nel mitico Teatro n. 5, il Teatro Grande, abbiamo costruito tante scenografie. Si respirava un’aria a metà fra cinema e teatro, avevamo la sensazione di poter realizzare i nostri sogni senza dover compromettere l’immagine con la luce del giorno e della notte degli esterni.
“Gli studios – ricorda – non erano solo un posto di lavoro, erano la nostra casa. Fellini aveva un suo appartamentino privato all’interno di Cinecittà, uno studio nel quale dormiva e dove ci incontravamo tutte le mattine per fare colazione prima di recarci nel teatro di posa. Una tazza di caffé e scaglie di parmigiano. Si, perchè da buon emiliano Federico non se lo faceva mancare mai, il parmigiano. Poi si iniziava il lavoro. Cinecittà era appunto il quartier generale, lì lavoravamo dalla mattina alla sera, lì dormivamo e abitavamo per intere settimane. Nel mitico Teatro n. 5, il Teatro Grande, abbiamo costruito tante scenografie. Si respirava un’aria a metà fra cinema e teatro, avevamo la sensazione di poter realizzare i nostri sogni senza dover compromettere l’immagine con la luce del giorno e della notte degli esterni.
Al chiuso degli studios tutto sembrava possibile, come quando costruimmo per il Casanova un pannello alto circa 30 metri e lungo un centinaio, posizionato a bordo di una grande piscina, la stessa che ospitò le riprese del passaggio del Rex in Amarcord. Non disponevamo di mezzi tecnologici avanzati, e si sa quanto la tecnologia faciliti il lavoro, ma la nostra fantasia si univa alla genuinità della costruzione artigianale e il prodotto finale era molto più vicino alla realtà”.
“Ma a Cinecittà – aggiunge – ho lavorato anche con mezzi sofisticati, come nelle riprese de Le avventure del Barone di Munchausen di Terry Gilliam quando utilizzammo il blue screen, uno dei primi e dei più grandi in Europa. Serviva per facilitare le scene più pericolose. Su uno schermo blu venivano proiettati sfondi sui quali gli attori recitavano, come un nero a teatro, poi in studio si ricomponeva l’immagine con processi tecnici”.
“Ma a Cinecittà – aggiunge – ho lavorato anche con mezzi sofisticati, come nelle riprese de Le avventure del Barone di Munchausen di Terry Gilliam quando utilizzammo il blue screen, uno dei primi e dei più grandi in Europa. Serviva per facilitare le scene più pericolose. Su uno schermo blu venivano proiettati sfondi sui quali gli attori recitavano, come un nero a teatro, poi in studio si ricomponeva l’immagine con processi tecnici”.
Ma com’è oggi Cinecittà? “Oggi – dice Rotunno – è molto cambiata, mi fa impressione andarci, ci trovi gli americani con tutte le loro macchine ma mancano le persone che l’hanno resa mitica, non c’è più Fellini. Io ero molto legato a Federico: la prima pellicola che fotografai per lui fu Toby Dammit, terzo episodio di Tre passi nel delirio, che si ispirava ad un racconto di Edgar Allan Poe”. Ma partecipai anche al suo ultimo progetto, quello di Il viaggio di G. Mastorna, il “film non realizzato più famoso del mondo” secondo Mollica. Lavorammo moltissimo ma poi Fellini si ammalò e rinunciammo”.
Roma e il cinema. Roma e la Festa del Cinema. “Roma – conclude Rotunno – è stata la nostra casa, era accessibile, era viva. Sono molti i luoghi ai quali sono legato, il Colosseo per esempio. Chiunque ha lavorato a Roma ci ha girato almeno una scena. Io lo conosco a memoria, ho imparato ad illuminarlo durante la mia carriera fino ad essere chiamato dal Comune di Roma a consigliare la miglior luce per valorizzarlo. Con Fellini lo abbiamo addirittura ricostruito per il film Roma, lo abbiamo dipinto su una grossa tela sulla quale abbiamo proiettato le stesse luci che illuminavano il vero Colosseo. Ne ricavammo un ottimo effetto ma nell’ultimo ciak, in notturna, una ventata lo buttò giù”.