I bambini protagonisti dell’incontro stampa con Michel Ocelot, regista di Azur e Asmar presentato per la sezione “Alice nella città”. Particolarmente colpiti dalla proiezione, questa mattina hanno animato la conferenza stampa facendo la maggior parte delle domande: “Sono stato contento che gli spettatori abbiano reagito come speravo – ha detto Ocelot – L’applauso prima della fine, quando i due protagonisti si rincontrano, è stata una grande soddisfazione e mi fa capire che il messaggio che volevo esprimere è arrivato”. “Ero partito con il voler raccontare la guerra in Africa, ma poi mi sono reso conto che anche nelle fazioni in conflitto ci sono delle parti che rimangono in amicizia, ho voluto raccontare quelle”. Ocelot mostra il delicato tema della guerra con un lungometraggio animato, ambientato nel Medioevo, (“quando – ha detto testualmente – l’Islam era aperto e brillante”).“Se trovassi degli attori che – ha aggiunto – rappresentassero perfettamente l’idea dei personaggi, probabilmente girerei le scene con la telecamera piuttosto che disegnarle.” Alla domanda di un ragazzo che gli chiede le ragioni del titolo, risponde che ciò che gli interessa sono le persone e quindi è di quelle che vuole parlare. “Il film mi riguarda direttamente, anche io sono stato un emigrante senza saperlo, dopo dodici anni in una povera scuola in Guinea, dove conoscevo solo il sole, sono stato trapiantato in un liceo della Francia, freddo e grigio, per dieci anni ho sputato sulla terra che mi ospitava, tanti anni fa ero come Raspù (personaggio del film), ma ora sono cambiato e amo la terra dove vivo”. L’attenzione per i particolari emerge anche dalla scelta dei nomi dei personaggi. Azur: azzurro, e quindi il “chiaro” per il protagonista biondo e Asmar: lo scuro, bruno per il protagonista dai capelli scuri. Tutti i nomi dei personaggi hanno una spiegazione: Genal: paradiso: “Mi sembra un nome perfetto per una madre”. Jadoa, significa saggio, ed il personaggio negativo, Raspù tradotto dal francese suonerebbe come: ranocchio.
Il film attraversa temi profondi come la guerra e le problematiche dell’immigrazione, il disagio di chi è costretto a confrontarsi con luoghi nuovi e apparentemente ostili, con la leggerezza di un animazione dallo stile calligrafico e sognante. Continua ancora Michel Ocelot: “Grazie al successo di Kirikù e la Strega Karabà, ho potuto dedicarmi e spendere soldi su questo nuovo film che per promuoverlo, mi porterà in giro per il mondo sei anni”.